Vogliamo creare le basi per un modello innovativo di distretto culturale evoluto nel Sulcis, che abbiamo chiamato DISTRETTO CULTURALE OPEN SOURCE (NATURALE, GLOCALE, ECO-SOSTENIBILE), dove la programmazione sarà aperta, in continuo divenire.

Costituito nel 2013 senza l'intervento da parte delle amministrazioni locali, è basato su di un modello naturale, glocale e sostenibile realizzato attraverso il potenziamento di una rete di operatori del Sulcis.
In Sardegna la sopravvivenza di circa centoventimila persone dipende dagli ammortizzatori sociali, siamo parlando di quasi il 10% della popolazione, ben il 40% di questi assegni vengono erogati nel Sulcis.
Nonostante questo triste primato, provocato da una insostenibile politica industriale di retaggio ottocentesco, ancora oggi si continua a sostenere le imprese responsabili di questa situazione, molte di queste industrie hanno chiuso, ma altre vogliono continuare, ma solo attraverso finanziamenti pubblici, continuando inesorabili ad avvelenare l’ambiente, l’economia ed il futuro del territorio.
Il Distretto Culturale Open Source è nato per dare un forte segnale di cambiamento mettendo in rete intorno ad un progetto di rinascita culturale e ambientale le migliori energie creative presenti nel Sulcis.

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MACC/ MANGIABARCHE/Artista-in-Residenza: Joanne Robertson, Nicolas Amato, Rosie Putler


Il Leone d’oro assegnato all’Angola nell’attuale edizione della Biennale di Venezia, sa un po’ di Sardegna, o meglio ancora di Sulcis, eh sì, il curatore del Padiglione africano, Stefano Rabolli Pansera (Beyond Entropy Ltd) è anche il direttore del MACC, e della galleria Mangiabarche, a Calasetta. Un riconoscimento internazionale accompagnato da una dose di spregiudicata attenzione verso realtà periferiche, ma determinate a rispondere alle sollecitazioni intelligenti di persone intelligenti con progetti intelligenti, del resto Beyond Entropy Ltd è un’agenzia non profit, che s’ispira al concetto di Energia come strumento poetico per definire nuove strategie territoriali e urbane, lavorando in aree critiche del pianeta, dalle periferie sovraffollate delle metropoli Africane alle steppe desertiche dell’Asia Centrale fino al Sulcis, appunto una delle zone più belle ed ostili, del pianeta.
Adesso, anche la Biennale di Venezia sembra confermare la centralità dei territori periferici, sempre che questi sappiano costruire strategie di accoglienza per percorsi alternativi verso il centro.Intanto, in loco, Stefano Rabolli Pansera ci ha regalato una bellissima mostra, realizzata dagli artisti dell’ultima residenza Joanne Robertson, Nicolas Amato e Rosie Putler, dove ha messo in gioco quell’aspetto pulito e White dell’architettura recuperata, ad arte, di Mangiabarche. Sembrava quasi che fosse stata occupata da una famiglia figlia della disperazione e della crisi: il tetto (che non è stato volutamente ricostruito per permettere di vivere uno spazio aperto al cielo) era stato ricoperto da arbusti e piante secche, all’esterno dei tiranti sostenuti da dei blocchetti, sospesi, di cemento, sembravano compromettere la bianchissima linearità del muro. All’interno grandi teli, recuperati dal cantiere, apparivano grossolanamente dipinti, una vecchia borsetta da donna, raccattata chissà dove, era appesa in un’assemblage improponibile, il tutto condito da un forte vento di maestrale, quello che piega gli alberi. Pochissime persone hanno avuto la forza di presentarsi alle assolate ore 17, nell’isola un curatore dal Leone (e dal cuore) d’oro ancora non smuove l’esercito dei vernissage. Fantastica, bellissima, pazzesca che altro dire, l’ora insolita è stata scelta perché gli arbusti e le piante messe sul soffitto, che non c’è, erano stati messi dall’artista di Los Angeles (alla sua prima esperienza espositiva in assoluto) Nicolas Amato per proiettare sui muri incredibili decorazioni; e va bene che la sua professione, prima di questa esperienza che l’ha convinto ad approdare a quella dell’arte, è stata quella di tecnico delle luci per il cinema di Hollywood, ma la semplicità del gesto ha lasciato sul campo, anzi sui muri, tutto il marchingegno per sostenere l’effetto, un po’ come nel cinema, dove dietro l’immagine c’è tutto l’apparato di ripresa. Ma è proprio questo che ne fa una straordinaria macchina per la messa in scena dell’opera, infatti i tiranti disegnano delle forme astratte sui muri che ricordano la vocazione astrattista del MACC. La pittura, anzi quelle pitture, che abbiamo poc’anzi definito grossolane, in realtà utilizzando la forza cromatica del materiale, il colore riempie solo una parte della superficie, riescono a superare quella divisione tra supporto e finzione, diventano dei quadri di una potenza straordinaria. La mostra ci sorprende proprio per quel suo svelarsi poco a poco, la sensazione all’uscita è diversa da quella dell’entrata, questo si che è arricchirsi di un’esperienza.
(Pino Giampà art a part of cult (ure)

La Biblioteca fantastica


IL PROGETTO
Marcos Lora Read dalla Repubblica Dominicana, Yassine Balbzioui dal Marocco, Kilap Gueye e Pape Thiam dal Senegal, Andrè Raatsch dall'Ungheria, Daniella Isamit Morales dal Venezuela, affiancati da Simone Berti, Michele Gabriele, Matteo Rubbi, Carlo Spiga e Jonathan Vivacqua, hanno lavorato con i ragazzi delle scuole medie di Masainas, Villaperuccio, Santadi, Piscinas, Giba e Perdaxius nelle rispettive biblioteche nel corso di quattro workshop, a cominciare dal novembre del 2012 fino a febbraio 2013. 
Il loro lavoro è stato poi valorizzato e formalizzato in due laboratori aggiuntivi tenuti da un artista, Stefano Faravelli, e uno scrittore, Andrea Bocconi; un fotografo, Vincenzo Cammarata e un regista, Andrea Canepari, tutti docenti della "Scuola del viaggio", altro partner speciale del progetto.