Vogliamo creare le basi per un modello innovativo di distretto culturale evoluto nel Sulcis, che abbiamo chiamato DISTRETTO CULTURALE OPEN SOURCE (NATURALE, GLOCALE, ECO-SOSTENIBILE), dove la programmazione sarà aperta, in continuo divenire.

Costituito nel 2013 senza l'intervento da parte delle amministrazioni locali, è basato su di un modello naturale, glocale e sostenibile realizzato attraverso il potenziamento di una rete di operatori del Sulcis.
In Sardegna la sopravvivenza di circa centoventimila persone dipende dagli ammortizzatori sociali, siamo parlando di quasi il 10% della popolazione, ben il 40% di questi assegni vengono erogati nel Sulcis.
Nonostante questo triste primato, provocato da una insostenibile politica industriale di retaggio ottocentesco, ancora oggi si continua a sostenere le imprese responsabili di questa situazione, molte di queste industrie hanno chiuso, ma altre vogliono continuare, ma solo attraverso finanziamenti pubblici, continuando inesorabili ad avvelenare l’ambiente, l’economia ed il futuro del territorio.
Il Distretto Culturale Open Source è nato per dare un forte segnale di cambiamento mettendo in rete intorno ad un progetto di rinascita culturale e ambientale le migliori energie creative presenti nel Sulcis.

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SULCIS: DISTRETTO CULTURALE OPEN SOURCE (NATURALE, GLOCALE, ECO-SOSTENIBILE)

SULCIS: DISTRETTO CULTURALE OPEN SOURCE (NATURALE, GLOCALE, ECO-SOSTENIBILE)
Azione preliminare n° 2

Nell’isola la sopravvivenza di circa centoventimila persone dipende dagli ammortizzatori sociali, che riceve un loro familiare, siamo parlando di quasi il 10% della popolazione: ben il 40% di questi assegni, di cassaintegrazione, vengono erogati qui nel Sulcis. Nonostante questo triste primato, provocato da una insostenibile politica industriale di retaggio ottocentesco, ancora oggi si stanno per sprecare centinaia di milioni di euro per regalarli alle industrie ed alle imprese responsabili di questa situazione. Molte di queste industrie delocalizzano, altre vogliono continuare, ma solo a suon di soldi pubblici; la politica non riesce a pensare ad altro che a quel sistema come produttore principale del PIL e delle prospettive di sopravvivenza dei posti di lavoro, a costo di finire di avvelenare l’ambiente, l’economia ed il futuro della nostra terra.
Nella nostra città, i partiti politici, tutti, sono stati responsabili di questa situazione, hanno tenuto sotto ricatto un intero territorio, prima governando sui posti di lavoro che c’erano, ora speculando su quelli che non ci sono.








La qualità della ricerca artistica e culturale la fa la qualità degli artisti e degli operatori in campo, su di un progetto di qualità da mettere in campo,  di norma gli artisti e gli operatori culturali, di qualità, si tengono, o vengono tenuti, lontano da certi territori, preferendo vivere e lavorare nei grandi centri regionali, nazionali ed internazionali, gli unici, in grado di cogliere il frutto del loro lavoro. Tradendo queste geografie del sistema dell’arte, dopo l’esempio di Nuoro, anche il poverissimo Sulcis è arrivato sulla ribalta della scena artistica nazionale ed internazionale, grazie ad alcuni importanti iniziative di ricerca e di produzione contemporanea, come Cherimus, il MACC, la GiuseppeFrau Gallery e la Agri-Factory di Barega, ma Iglesias, da anni, si è esclusa da questo processo, in questa città la ricerca artistica contemporanea è stata volutamente bandita per fare posto alla autoreferenzialità amatoriale dilagante.
In verità la politica ha fatto i suoi danni anche nel resto del Sulcis, prima non investendoci un solo centesimo, poi, quando rischiavano di riuscirci, bannando la candidatura del territorio a capitale europea 2019, piegandosi agli interessi di alcuni avidi Dipartimenti Universitari, i quali avevano già da tempo deciso di partecipare ad altri progetti e, soprattutto, non avevano alcuna intenzione di mettere in crisi pratiche e lobby ben collaudate, e consolidate, sottomettendosi poi alle ragioni dei sindacati, mai sazi di disperati che bussano alle loro sedi e sventolano le loro bandiere e votando i loro candidati, difendendo, giustamente, le necessità dei padri, ma compromettendo di fatto il futuro dei figli, vendendosi infine agli interessi delle multinazionali, le quali, sia quando chiudono che quando rimangono, riescono a portare nel territorio e nel prestigio dei politici locali centinaia di milioni di euro.

Ora abbiamo deciso di dire basta e lo abbiamo fatto creando e cercando di raccogliere intorno al nostro progetto, le migliori, le più libere, energie creative presenti nel territorio, ma non basta: Amici, Artisti, colleghi, abbiamo bisogno della vostra partecipazione e del vostro sostegno.
Vogliamo portare avanti un progetto che trasformi la nostra città, e l’intero territorio, in una grande residenza laboratorio, dove accogliere le proposte di tutti, o meglio ancora, di tutti quelli in grado di pensare l’arte come bene comune, capace di sviluppare la percezione della realtà, la consapevolezza della propria identità, di immaginare il nostro futuro e di aprire scenari inediti per nuove economie e nuove prospettive di sviluppo.
Una città, un territorio, in grado di accogliere è una città, un territorio, in grado di pensare e partecipare al proprio futuro; un territorio con la costante vigilanza e partecipazione del mondo dell’arte contemporanea, è un territorio inattaccabile dalla superficialità, dalla banalità, dalla speculazione e dalla criminalità politica.
Vogliamo creare le basi per un modello innovativo di Distretto culturale evoluto, che abbiamo chiamato DISTRETTO CULTURALE OPEN SOURCE (NATURALE, GLOCALE, ECO-SOSTENIBILE), dove la programmazione sarà aperta, in continuo divenire: da un semplice battito d’arte uno tsunami culturale. Vogliamo pensarlo anche insieme alle potenzialità del Parco Geominerario che va liberato anch’esso dalla cupola politica come il resto della città e del territorio, vogliamo attivarlo anche attraverso la valorizzazione, e nello sviluppo, delle buone pratiche già presenti nel territorio, non solo nella cultura, ma anche in tutti gli altri campi del fare e del sapere umano.

Pura follia la nostra? Ci serve anche la tua.
Venerdì, 24 Maggio, alle ore 18, nella sede della Pro Loco presso il Chiostro di San Francesco, via Crispi 13 ad Iglesias, ti aspettiamo per un primo incontro, per uno scambio di saperi ed intenzioni programmatiche.
Porta la tua idea sulla funzione dell’arte nei processi economici innovativi, sostenibili, sociali ed identitari per una città ed un territorio; vanno bene anche solo desideri, dubbi, anche presentati in video o come azione performativa, ma va bene anche la sola tua presenza, o la sola tua adesione, come testimonianza, per dare coraggio ad un progetto e speranza ad un intero territorio. 



Pino Giampà, Emiliana Sabiu, Francesco Carbone, Stefano Rabolli Pansera (via Skype)


Sulcis: verso un Distretto Culturale Open Source (Glocale, Naturale e Sostenibile)
Traghettare il nostro territorio nella sua giusta ambizione di sviluppo culturale ed economica, non deve significare innestare quei modelli della contemporaneità e dello sviluppo disegnati e designati altrove, per altre economie, per altri interessi, ma vuole dire elaborarne di nuovi: creare un modello innovativo anche nei modelli dell’innovazione.Se per alcuni aspetti la nostra crisi è simile a quella di altri territori, è vero anche che il nostro territorio è per sua natura unico del suo genere, e da qui dobbiamo ripartire.Per creare nuova economia ci vogliono risorse: noi dobbiamo individuare il meccanismo per produrre risorse, prima ancora che nuove economie.Non possiamo permetterci il lusso di credere che tutti possano capire a priori l’utilità di dirottare importanti finanziamenti da destinare alla Cultura, o meglio alla ricerca ed alla sperimentazione culturale per la produzione di progetti ed azioni utili al territorio, permettendo a tutta la comunità, e non solo alla politica, di poter sfruttare la sua capacità di pensare il futuro.

Non possiamo attendere oltre: se pure avessimo da oggi tutte le risorse necessarie per agire in profondità, nel socio-culturale, e trasformare una prospettiva culturale in una realtà di concreta occupazione e sviluppo, occorrerebbero molti anni. Quindi noi dobbiamo essere in grado di partire comunque, a prescindere dalle risorse disponibili nel territorio, partendo proprio da quel settore di base, il primo cerchio concentrico, capace di operare in condizioni di crisi e di vuoto.Il primo passo dunque è quello della valorizzazione dell’esistente, compiendo un’azione di monitoraggio che sappia individuare, ma senza pregiudizi, le strutture già operative nel campo dell’innovazione della cultura e dell’impresa, per attivare attraverso la realizzazione di una rete open source che sia capace di elaborare progetti e di renderli condivisi, individuando anche quali strutture siano da riconvertire in imprese culturali, mettendo da subito in campo un meccanismo in grado monitorare costantemente le ricadute economiche, occupazionali, sociali e culturali nel territorio, per evitare di sostenere cattive pratiche culturali, colpevoli anch’esse dello stato di crisi e di sottosviluppo in cui versa la nostra città ed il nostro territorio.

La novità che vorremmo apportare al modello (quello di Richard Florida per intenderci) del Distretto Culturale è quella di puntare direttamente ad un modello inedito che potremmo chiamare Distretto Culturale Open Source (Glocale, Naturale e Sostenibile), capace di partire contestualmente dall’alto e dal basso, attivando nel territorio workshop con operatori internazionali ma esclusivamente rivolti alla ai cittadini, alle associazioni ed alle imprese, in modo da renderli protagonisti del processo, valorizzando lo spirito creativo e di conoscenza individuale e collettiva.L’importante è che si sappia dal principio operare con l’obbiettivo di raggiungere, in tempi ragionevoli, un considerevole numero di persone, tenendo conto sia delle problematiche del territorio che delle dinamiche internazionali: senza perdere un’identità dunque, anzi valorizzandola attraverso la riscoperta di una capacità progettuale che sia da stimolo alla creazione di nuove imprese e soprattutto di nuove economie sostenibili, eque, solidali, partecipate ed indipendenti.

Dobbiamo giocoforza prendere le distanze dalle formule culturali d’importazione, per evitare di essere invasi da un costosissimo star system che poco potrebbe lasciare alla popolazione ed allo sviluppo del territorio, ma troppo alla gloria di un sistema politico genuflesso al servizio dei soliti noti. La cultura non deve essere intesa come ricerca individuale per pochi eletti, essi sono sicuramente la trivella principale, ma il petrolio deve essere il territorio e chi lo abita.L’esistenza e la resistenza di un’Università indipendente nel territorio è fondamentale anche in un Distretto Culturale Open Source (Glocale, Naturale e Sostenibile), ma solo per evitare di affidarsi a cordate di squali accademici famelici e distanti anni di luce dal territorio, ma vicinissime al giro dei superconsulenti, a oro volta vicini al partito di turno. L’apporto verso istituzioni esterne non avrebbe senso solo in quanto l’obiettivo non è tanto quello di avere il necessario sostegno di ricerca e di esperti, ma quello di formare nostri giovani in maniera che possano operare con competenza nel proprio territorio.

Anche il turismo ed il rilancio turistico deve passare attraverso questa prospettiva: tutte le attività in genere devono investire in cultura (lingue straniere, storia e tradizioni minerarie, enogastronomia a Km 0, ecc.) per poter essere non solo competitive, ma anche innovative. Un avvertimento però è d’obbligo: la situazione di crisi sicuramente ha prodotto nella popolazione, oltre che una certa diffidenza, anche una percezione diversa rispetto alle emergenze da affrontare: sarebbe sbagliato raccontare che questo progetto possa produrre economie ed occupazione a breve termine, ma dobbiamo costruire le basi affinché la nostra generazione possa rilanciare il sistema per un futuro diverso che non vuole non ricadere in crisi cicliche anche peggiori di quelle che stiamo passando. Questo scenario apocalittico non è difficile da immaginare se continuiamo a destinare centinaia di milioni di euro a multinazionali che finiti i finanziamenti taglieranno ancora la corda , lasciando il territorio in condizioni questa volta veramente irrecuperabili, e tutto questo perché la politica non ha più creatività ed invenzione, ma solo fame di voti e disperazione sociale che bussa alle sue porte, senza capire che lei non è la soluzione dei problemi, ma parte del problema.

Non dobbiamo cadere nell’equivoco che la cultura ed il turismo possano da soli produrre un PIL necessario ad un benessere diffuso, ma neppure arretrare su vecchie posizioni che, attraverso la concezione di una politica culturale intesa solo come patrocinio di una marea di eventi più disparati, non sono mai state in grado di contribuire ad un punto di PIL, ma in compenso una valanga di voti per l’assessore di turno. L’industria culturale è una vera e propria industria ed il distretto culturale è di fatto un’industria vera e propria, ma per crearla nel nostro territorio bisogna voltare pagina, e noi abbiamo già iniziato a farlo.